lunedì 25 marzo 2013

Notazione e rappresentazione tra danza e architettura, note a margine dall’esposizione “Danser sa vie” a Parigi.




Dietro all’esplorazione di legami più o meno espliciti tra danza e arti visive nel XX secolo, la recente esposizione al Centre Pompidou “Danser sa vie” cela una complessa investigazione sulla natura dello spazio e sull’evoluzione della sua rappresentazione attraverso il corpo.





Se lo spazio sia statico o generato dal movimento, se sia una percezione, una struttura concettuale, una costruzione socio/ideologica oppure un’entità capace di produrre una propria ontologia, sembrano essere questioni comuni alla danza e all’architettura, all’interno di un discorso filosofico lungo centinaia di anni.
“Danza e architettura hanno molto in comune. Entrambe si occupano del praticare lo spazio. Per un ballerino, l’atto della coreografia come scrittura di un luogo avviene attraverso il dispiegarsi di dimensioni spaziali attraverso il gesto e il movimento del corpo. Per l’architetto, lo spazio è il mezzo attraverso il quale emerge la forma ed è costruito l’abitare. Per entrambi, il primo spazio vissuto è quello del corpo.“ Carol Brown, coreografa.
“L’esperienza dell’architettura è legata alla nostra esistenza fisica e al movimento del corpo nello spazio.”  Rudolf Arnheim.



Notazione barocca del XVIII Sec. indicante i passi per il minuetto


“Danser sa vie” esplora le pratiche di strutturazione spaziale attraverso una serie di stampe e disegni che, nel tentativo di registrare il movimento sulla carta, appaiono ancora più suggestive, a nostro avviso, della visione dei pezzi reali, in video o nelle stesse performance. La sfida dei coreografi nel catturare eventi che si svolgono nel tempo appare simile alla difficoltà degli architetti nel rappresentare in due dimensioni ciò che esiste in tre dimensioni. Sia l’evanescenza della danza che la permanenza dell’architettura richiedono un sistema di proiezione standardizzato, anche detto “notazione”, al fine di riprodurre, costruire, rappresentare o eseguire. Anche se la notazione in architettura, musica o danza richiede una conoscenza specifica, una capacità del soggetto di leggere e comprendere ciò che è scritto, autori di campi diversi si sono spesso liberati dalle convenzioni, ricorrendo a modalità di rappresentazione autonome e adeguate alle proprie esigenze.





Intervista a William Forsythe   _  Direttore del Ballet Frankfurt









Danza & Architettura



"Architecture is a performance” (Ricardo Scofidio)

“Architecture is a kind of urban ballet. Architects have often felt that their buildings catch the essential rhythms of people’s lives. One of the central conceits of architecture is that it is a translation — in stone and concrete — of the human body in its proportions and its very elements, and that it’s halfway between the human body and the bigger world.” (Aaron Betsky)




mercoledì 20 marzo 2013

Fraseggiando...




"L'incanto del ritmo è quel tornare eternamente indietro al principio che apre al futuro... Non è un modello teorico, ma una provocazione a vivere"
(Carlo Sini)


"Un semplice movimento della testa di queste donne (le Cariatidi) che reggono l'architettura, farebbe danzare i muri.
Abbiamo sempre giocato a volteggiare sul posto, talvolta abbiamo afferrato la sensazione di far girare il mondo.
Ritrovo questa sensazione su un muro, il mio passo sposta questo enorme oggetto, il mio salto lo lancia a distanza, il mio volteggio indietro fa girare l'orizzonte intero.
Questa percezione non è il frutto di un egocentrismo folle. (Del resto), è nel momento in cui mi dimentico di me che questa immagine si produce. Il muro incomincia a danzare quando sono ancorato, abitato dal mio movimento interiore, pienamente cosciente del mio supporto.
Quando capovolgo la testa in basso, rovescio la gravità del mondo".
(Fabrice Guillot, coreografo della Compagnie Retouramont)




"Una danza che prende Corpo dalla realtà, si fa guardare, considera le realtà del mondo nella pluralità di punti di vista, dell'impegno sotto forma di spettacolo dal vivo e di scrittura inventiva ed innovatrice.
Transit è per me e la mia equipe accettare il confronto con il reale, trovare un giusto posto dove proiettare al vostro sguardo e ai vostri sensi, il nostro immaginario, che porta con sé gli "Uomini e i loro legami col mondo."
(Alì Salmi, Compagnie Osmosis)




La danza diviene una sfida critica a quella qualità della vita che quotidianamente si esprime nel gesto ormai privo di significato.
Utopicamente, essa rappresenta il "tentativo di sabotaggio dall'interno dei meccanismi vitali della macchina-città", e, al tempo stesso, è un "cercare nel suo ventre pulsante e troppo spesso indifferente, un rifugio protettivo per quelle attività espressive che troppo spesso languiscono nel chiuso e nel rifiuto dei teatri inospitali. (...)".

Quando la danza si sposa con l'architettura



Bianchi e neri che riescono a trovare l’armonia nel contrasto fra due ambiti apparentemente distantissimi come l’architettura e la danza. Ecco quindi che le linee disegnate dalle pose delle ballerine sembrano seguire quelle progettate spesso secoli prima da architetti che mai si sarebbero immaginati uno sposalizio di questo tipo.


Cosa c’è dietro le esibizioni perfette dei ballerini? Quanto costa, in termini di fatica e stress, eseguire correttamente passi e figure? E in cosa consiste l’essenza della danza?

Questo il filo conduttore della ricerca che Simone Ghera conduce ormai da anni con la sua macchina fotografica.
Architetto romano, classe 1959, è sempre stato attratto dalla fotografia finché non ha frequentato un corso specialistico nel corso del quale, trovandosi a scegliere un tema su cui esercitarsi, ha individuato lo Ials, scuola romana di spettacolo presso la quale sua figlia seguiva un corso di danza.


Da lì l’idea di “Dancer inside”, il progetto nato a Londra nel 2007 con cui ha catturato immagini di ballerini, compagnie e accademie di paesi diversi, scattate durante prove, lezioni e allenamento quotidiano, sia nei backstage sia in location esterne caratterizzate da contesti storici e architettonici.
L’obiettivo di Ghera è così riuscito a cogliere situazioni non convenzionali tra l’Europa (Madrid, Londra, Roma, Berlino, Firenze), gli Stati Uniti (New York) e la Russia (San Pietroburgo). E dopo le esposizioni a Roma, Madrid, San Pietroburgo, Mosca e Tel Aviv, la mostra fotografica approda a Berlino, al Franzosischer Dom, realizzata in collaborazione con la Staatlische Ballettschule Berlin, la più prestigiosa scuola di ballo pubblica della Germania.


Danza e architettura non è un binomio nuovo, basta ricordare Ginger e Fred di Frank O. Gehry, l’edificio praghese sede degli Uffici Nazionali Olandesi, così denominato perché i due corpi dell’edificio ricordano due ballerini colti in un passo di danza.La prospettiva di “Dancer inside” è diversa. 
Fil rouge è Berlino, che collega i diversi ritratti delle ballerine colte durante le prove e i backstage, e due sono gli elementi di ricerca che la rendono interessante e diversa dalle tante esposizioni fotografiche che abbiamo visto nel corso degli anni: niente palcoscenici o teatri, al contrario vita quotidiana e architettonicità. 
Prima di tutto la “vita”, l’umanità, con un’ispezione quasi da catena di montaggio del lavoro di danzatore. Come il titolo del progetto allude, l'interesse del fotografo è verso la danza intesa come sudore e duro lavoro: ed ecco quindi immagini di esercizi alla sbarra, espressioni di occhi esausti, minimi dettagli fisici colti sia durante gli esercizi che nei momenti di relax, tutti rigorosamente in bianco e nero.


Altro elemento è l’intuizione che i ballerini disegnino il movimento. Non più il loro librarsi nell’aria o la capacità di plasmare il corpo fino a renderlo quasi una scultura in movimento tipici di tante immagini:  
Anche se il movimento è considerato l'essenza della danza, quello che trovo più interessante sono gli angoli statici e le linee dei danzatori. Li vedo molto vicini a particolare architettonici,- scrive Ghera su sul sito della mostra- perché la danza è molto più di ciò che si vede in scena”.






Una composizione fotografica generata dall'architettura, quindi, in un gioco di contrasto e di armonia con l'inserimento delle ballerine in contesti come scale, edifici, strutture dismesse e ambientazioni prospettiche ,in orizzonti quasi sempre inclinati che offrono diverse possibilità di guardare e percepire l'immagine.








The "Dancing house" _ Frank O. Gehry



La "casa danzante", così detta per la sinuosità delle sue ondulazioni, è stata costruita tra il 1992 e il 1995.Fu progettata dall'architetto croato, nato nella Repubblica Ceca, Vlado Milunić in cooperazione con il canadese Frank Gehry. La posizione scelta era un posto vacante sul lungofiume. L'edificio che occupava precedentemente quel luogo era stato distrutto durante i bombardamenti di Praga nel 1945. La costruzione ebbe inizio nel 1994 e terminò nel 1996.
Lo stile fortemente non convenzionale creò delle controversie al tempo della costruzione. Il presidente ceco Václav Havel, che visse per decenni vicino al sito, ha supportato il progetto, sperando che l'edificio divenisse un centro di attività culturali.
Originalmente chiamato Fred and Ginger (da Fred Astaire e Ginger Rogers) la casa ricorda vagamente una coppia di ballerini. Lo stile costruttivo sta tra il Neobarocco, il Neogotico e l'Art Nouveau, stili architettonici per i quali Praga è famosa.
Il piano originale che proponeva un centro culturale non venne realizzato. Al settimo piano si trova un ristorante francese con una magnifica vista della città. Tra gli altri occupanti la casa alcune compagnie multinazionali.
Gehry afferma: "Abbiamo cominciato giocando con vetro e stucco ed io ho inizato a modellare la torre aggettante come una grande lanterna di vetro con affaccio sulla piazza. La torre vetrata è cresciuta, abbiamo realizzato dei plastici ed ho intuito che avrebbe bloccato la vista sul castello di Praga dai balconi attigui. Allora l'abbiamo pizzicata ed ha preso la forma di un vestito di donna". E' così che la torre trasparente, per la leggera disinvoltura delle sue curve è stata soprannominata "Ginger" e la torre opaca, per conseguenza, "Fred".